è ormai evidente che le nuove tecnologie e i nuovi media hanno invaso ogni aspetto della nostra vita
Diventa inevitabile, quindi, che anche nell’incontro con il terapeuta si debba tenere in conto la presenza di questi nuovi apparecchi multimediali. Non parlo solo degli squilli, delle notifiche e delle suonerie che ormai quotidianamente fanno da sfondo ai colloqui non solo ai “nativi digitali”, ma anche alle generazioni più adulte.
In queste poche righe mi piacerebbe spezzare una lancia in loro favore, mostrare come uno strumento come youtube possa essere utilizzato nel lavoro con gli adolescenti per facilitare la presa di coscienza della propria identità e della propria potenza.
Innanzitutto premetto che io personalmente non ho alcuna competenza tecnica su come si possa impostare un canale su youtube, né alcuna conoscenza su montaggio e riprese video.
Quel poco che ho imparato l’ho appreso grazie a ciò che ho visto fare ai ragazzi nel mio studio (i cosiddetti pazienti), secondo il principio della co-costruzione: lo psicologo e il paziente mettono in comune le rispettive competenze per creare una situazione di crescita e di maturazione di entrambi; in questo caso riprendo un po’ il concetto di Leo Vigotskij della zona di sviluppo prossimale, ma in questo caso l’apprendimento è mutuo, non solo unidirezionale.
Dal punto di vista più prettamente terapeutico, il riconoscimento delle competenze del ragazzo dà come primo risultato il rafforzamento dell’autostima e del senso di poter agire significativamente sul mondo (sia quello virtuale che quello reale, ipotizzando che siano due entità separate).
Lasciavo insomma che fossero loro a guidarmi nell’esplorazione e nelle decisioni, pur mantenendo il mio ruolo e le caratteristiche di autorevolezza e sicurezza, vigilando sul setting (pur con i necessari aggiustamenti che un lavoro del genere pone).
A livello di produzione, la cosa si risolve in operazioni abbastanza semplici: attivare un canale, girare brevi video, utilizzando personaggini dei Lego, caricarli (uplodarli sarebbe il termine più corretto, mi è stato diligentemente spiegato).
Il cuore del lavoro è stato decidere insieme cosa caricare, cosa no, che titolo dare ai video, come taggarli, come dargli visibilità (che sembra essere la cosa più urgente per i ragazzi, come già raccontava la società italiana di pediatria qualche anno fa).
Una ricerca sulla identità del canale e dei video che andava di pari passo a quella personale, messa in discussione dall’attraversamento dell’età adolescenziale e, nel caso specifico di cui parlo, da alcuni eventi di vita.
L’uso di youtube ha quindi facilitato l’esplorazione e la ricerca di sé, delle proprie peculiarità, senza la pesantezza del colloquio clinico “tradizionale” che spesso rende inquieto l’adolescente, convinto di doversi porre di fronte ad uno strizzacervelli. Invece, come è successo nel mio caso, può capitare che esclami “Ah, ma allora sei uno youtuber!” (a proposito di identità che vengono messe in discussione!)
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