La sindrome del biscardismo
Premessa: mi si perdoni la banalizzazione del lavoro clinico che sto per andare a fare. Del resto, tra la purezza della tecnica e la sua torsione finalizzata al benessere delle persone che incontro, scelgo la seconda.
Per una intuizione, arrivata probabilmente non a caso, mi è apparso il faccione di Biscardi, di Mosca e di tutti i personaggi che hanno animato lo storico “Processo del Lunedì”, e mi sono immaginato un ipotetico studio televisivo nella testa della mia paziente, durante il quale si discuteva, ci si accapigliava, ma soprattutto si passavano ore a guardare e riguardare frammenti di vissuti, arrovellandosi fino allo spasimo per decidere cosa avesse sbagliato la mia paziente.
Ricordo quando, anni fa, mi capitava di vedere in TV il processo di Biscardi, e di come mi colpisse la verve, l’energia con cui ognuno tirava fuori le proprie ragioni, le proprie idee e la visione del gioco, del regolamento, di qualsiasi cosa del calcio. Ricordo la sensazione di confusione che mi lasciava questo spettacolo.
La stessa confusione mi è sembrata di vederla nella faccia della paziente, consapevole di essere bloccata in una eterna moviola delle proprie giornate, incapace di interrompere la discussione dei propri “biscardini” interni.
Quando ho accennato la mia interpretazione, abbiamo sorriso un po’ entrambi, ma la paziente mi ha detto che in effetti sembra proprio così, dicendo che soffre di “biscardismo”, termine che mi sembra più che efficace.
Ora che abbiamo scoperto il canale e la trasmissione su cui siamo sintonizzati, dovremo evidentemente cambiare frequenza, o meglio ancora, spegnere la TV che abbiamo in testa e prendere la decisione di passare dalla passività di una continua visione delle stesse azioni a una attività in cui si gioca la partita della quotidianità, consapevoli della possibilità di sbagliare, ma impermeabili alle critiche che necessariamente
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